Perché questa mostra di fotografie, fantastiche? Perché un giovane artista espone queste immagini in un insolito parallelo tra oggettività e fantasia? La risposta è: quando si costruiscono immagini e si mette in scena la realtà della vita, solo nell’esatta riproduzione dello spettacolo che sta di fronte ai nostri occhi ed ai nostri obiettivi, si continua a creare una documentazione priva di aura, senza fantasia. La fantasia è l’ingrediente necessario per creare immagini che si differenziano da quelle create da altri con differente personalità. La fantasia non sopprime il reale, ce lo propone con una sintassi del visivo nuova sovvertendo la morfologia e ricomponendola in un ordine diverso.
Sotto la spinta dell’evoluzione tecnologica il ruolo e il linguaggio della fotografia stanno cambiando. Forme sempre più efficienti di riproduzione della realtà la rendono rapidamente obsoleta come mezzo privilegiato di documentazione di oggetti, luoghi, persone e avvenimenti. La sua funzione sociale primaria di fornire delle registrazioni visive soddisfacentemente obiettive sta perdendo senso. Il suo potenziale creativo che era stato compresso per favorire una produzione iconica di massa viene riscoperto dagli artisti. La sperimentazione e la ricerca visiva non sono più delle deroghe dalla linea classica della fotografia analogica e della pittura. Esse divengono attività indispensabili per scoprire nuovi ruoli alla fotoimmagine, se non si vuole che essa si perda nelle paludi del banale e dell’ovvio.
Jens Mirannalti appartiene alla nuova generazione di artisti-fotografi –fra i venti e i quarant’anni- che hanno subito il profondo adattamento percettivo creato dai media e dai pixel. L’estetica per essi non è qualcosa che si esercita solo nella mente, ma è l’elaborazione mentale di immagini che sono prodotte in digitale. Le nuove tecnologie dell’immagine -fotocamera, computer e software- coi loro frequenti e rapidi cambiamenti del punto di vista, coi loro stimoli visivi a flusso continuo spingono la creatività nel senso di una diversa grammatica immorale del colore, dove il timbro, le dissonanze e i contrasti ancorano il significato del soggetto in luoghi saturi di paradosso, di ironia e lo rendono oscillante.
Le immagini proposte da Jens Mirannalti «DA ORIENTE AD OCCIDENTE IN CERCA DI CASA» suggeriscono che uno dei ruoli attuali dell’artista-fotografo potrebbe essere quello di divenire strumento della propria immaginazione piuttosto che della banale messa in scena della realtà. In sé non si tratta di cosa nuova. Il processo fotografico contemporaneo infatti è per sua costituzione giano bifronte che si svolge per metà alla lux ecologica e per metà nella tenebra compiacente del digitale. Esso raffigura in modo simbolico le due sfere del fare creativo: la vita emotiva che coincide con la luce fisica e lo stato buio dello scevro ragionamento tecnologico che dà corpo all’idea. Insomma, il Dottor Jekyll smart fotografo maschera il Mister Hyde delle forti emozioni per procedere nella stessa direzione, su due rette parallele e convergenti che portano ad una poiesis atemporale.
Leggendo le fotografie di Jens Dancing with glasses, Il cielo di carta, Scimmie occidentali si intravedono impennate di intelligenza che spingono a una riorganizzazione della lettura del fotogramma. Lo spazio non è più omogeneo e prospettico; è una cornice che include materiali che provengono da realtà diverse; un campo per dialoghi di immagini. I simboli, le metafore, i racconti, le incongruenze creati con l’obiettivo hanno sull’osservatore una sorprendente efficacia evocativa che fa dimenticare la tenebra digitale. La fotografia Pashupatinath (Kathmandu, Nepal, dicembre 2010) ci rivela dove Mirannalti in cerca di casa vede la casa della morte (la trova?). La parola morte appare, è scritta mille volte nelle volute di fumo che salgono dalle orrende pire.
Non c’è scrittura che possa essere pari alla grandezza della morte, ma nel salire lento di quelle colonne di fumo c’è quello che fa di ogni uomo un essere unico: lo Spirito. Non c’è azione che possa sfuggire al «clik». . . ed ecco catturato, sfuggente, un essere unico cercare la speranza nella sordida acqua, tra i resti delle cremazioni (la trova?), lui è immortalato con la mano sinistra serrata, ma in quella mano c’è quello che fa di ogni uomo un coprofilo: l’oro.
La spirale narrativa delle immagini presenti in «DA ORIENTE AD OCCIDENTE IN CERCA DI CASA» ci spinge a cercare il dettaglio e la coerenza ottica dei particolari, ad amare gli eventi imprevisti che si producono nelle frazioni di secondo dello scatto. Ma soprattutto a riprendere in esame le basi costitutive del fare-pensare fotografico per meglio comprendere il legame che intercorre tra tecnologia e immaginazione, tra documentazione e creatività.
RAIMONDO VACCA